La serie di convegni sulle aree fragili che ormai si prolunga dal 2006 ha avuto come fattore fondante la ricerca di ‘risorse’ specifiche per irrobustire o risollevare territori toccati da diverse forme di depauperamento. In primis quello umano dovuto all’emigrazione che con diverse ondate affligge da oltre un secolo quasi tutte le aree rurali italiane. In secondo luogo vi sono le risorse materiali. In tal senso, si è parlato nei convegni precedenti di smart waters, di energia locale, di biodiversità. Nel depauperamento si sono considerate anche risorse immateriali come la conoscenza, l’expertise e l’arte (convegno 2017).
L’assunto che è tali risorse debbano o essere riscoperte in loco (sviluppo endogeno) o importate attraverso una poderosa azione di marketing territoriale, che arriva a coinvolgere anche gli immigrati dai paesi poveri. Si tratta in altre parole di ‘resource and place based development’. I luoghi diventano il perno di tutto il movimento per lo sviluppo umano, inteso come valorizzazione della comunità locale. Questo approccio resource and place based è complementare a quello centrato sulle ‘relazioni’ (vedasi questa dicotomia nella letteratura in campo organizzativo: Bonazzi 2003).
Non basta infatti avere ottime risorse e facoltà in loco se poi queste sono sconosciute, svendute o delegittimate. Alla base della loro capacità di produrre sviluppo integrale serve un’opera di riconoscimento esterno, su una scala più ampia, con territori anche lontani. La teoria della dipendenza ha formalizzato questo aspetto da lungo tempo, anche se in chiave negativa, come denuncia della espropriazione delle risorse della periferia da parte di centri. Il modello centro-periferia è un esempio di coniugazione di elementi relazionali e spaziali. Esso può essere un ottimo punto di partenza per impostare il nuovo convegno sulle aree fragili, immaginando un sistematico e indebito prelievo di risorse da parte di aree forti rispetto a quelle deboli.
Keynote speaker del convegno: Jan Douwe van der Ploeg
Gruppo di riferimento (sostituisce il comitato scientifico, dà indicazioni sui casi esemplari, valuta gli abstract di chi propone una presentazione)
Filippo Barbera, Fabio Berti, Gabriele Blasutig, Giovanni Bridi, Nunzia Borrelli, Emanuela Bozzini, Francesco Caruso, Carlo Colloca, Alessandra Corrado, Francesco Di Iacovo, Fiammetta Fanizza, Maria Fonte, Francesca Forno, Giampiero Girardi, Natalia Magnani, Giovanni Paganuzzi, Piero Magri, Paolo Pastore, Domenico Perrotta, Davide Pettenella, Pierluigi Milone, Andrea Povellato, Benedetto Rocchi, Devi Sacchetto, Ivano Scotti, Simone Sillani, Francesco Silvestri, Pierluigi Stopelli, Francesco Vanni, Flaminia Ventura, Moreno Zago.
Gruppo organizzatore
Chiara Zanetti, Giorgio Osti, Luca Martinelli, Sara Morelli, Daniela Luisi, Giovanni Carrosio
Partner istituzionali
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali-Università di Trieste, Fondazione Finanza Etica-BPE, Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali, Università di Padova, Cooperativa Sociale Porto Alegre-Rovigo.
Lista in ordine alfabetico per autore/i dell’abstract
Il termine divario o gap è provocatorio, la cultura non si misura su una scala, però le gerarchie del sapere esistono e pesano nelle relazioni fra persone e fra territori.
Il campo da esplorare per le aree fragili è vastissimo, variegato, con qualche insidia che va dall’idea che la cultura sia tutto fino al suo contrario, che abbia un rango culturale anche la più banale delle manifestazioni ludiche. È evidente poi che intervengono tradizioni disciplinari diverse, ognuna con un suo linguaggio e bagaglio concettuale. Ma la rilevanza del tema è enorme se solo si pensa che a suo tempo l’Unione Europea ha puntato molto sulla società della conoscenza per fondare un rinascimento delle campagne e delle periferie.
La cultura è un potente strumento di comunicazione a va analizzata anche rispetto ad una funzione per le aree fragili.
Sì perché la scelta del tema – divario culturale – ha finalità pratiche e politiche. Serve a verificare se e quanto la cultura è uno strumento di crescita per comunità rurali definibili come interne o marginali, poco resilienti o fragili.
Si useranno tre criteri:
1) la pertinenza della cultura per la comunità di pratiche ‘aree fragili’ ovvero se la cultura sia una questione (issue) che richiede risposte;
2) i grandi cambiamenti culturali avvenuti nelle aree rurali fragili, e infine;
3) campi di intervento urgenti e promettenti sulla scia della tradizione dei convegni aree fragili pronti a descrivere carenze e segni di cambiamento in senso positivo.
Le aree rurali fragili hanno un welfare rarefatto. L’alta quota di popolazione anziana assorbe molte risorse pubbliche e private, mentre i servizi per bambini e giovani languono. Si crea un welfare sbilanciato sui trasferimenti monetari piuttosto che sui servizi interpersonali.
Non mancano risposte innovative: la Strategia Aree Interne, gli agri-asili, i servizi domiciliari, le unità di cura locali.
Serve però uno scatto nuovo, basato su mobilità, parziale centralizzazione dei servizi e valorizzazione delle risorse naturali locali. Su carenze e prospettive del welfare rurale è costruito l’XI convegno aree fragili, per la prima volta aperto a contributi stranieri.
La tutela della biodiversità è posta al centro dell’agenda politica di istituzioni europee e nazionali. Essa rappresenta un baluardo a difesa delle specie viventi, delle comunità umane e del benessere delle future generazioni.
La biodiversità risulta impoverita sia in contesti molto urbanizzati che in aree rurali in via di abbandono. L’azione umana è segnata da ambiguità e ignoranza rispetto ai valori della biodiversità.
Da questo nasce il titolo del convegno: biodiversità nascosta di cui svelare gli assunti culturali, usi commerciali sostenibili, il suo valore per la socialità.
Il convegno, organizzato attraverso un call for cases nazionale, ha raccolto decine di esperienze virtuose che segnalano la fecondità del tema biodiversità per le aree fragili.
Smart water non rimanda solo ad un uso intelligente dell’acqua. Riguarda anche la sua distribuzione sociospaziale e una gestione che sia quanto più condivisa possibile. Il convegno, organizzato attraverso un call for cases nazionale, vorrebbe tenere assieme tre dimensioni: expertise, equità territoriale e inclusione politica; compito non facile in un mondo dell’acqua assai conflittuale, piuttosto chiuso, ed ora sollecitato dagli esiti del cambiamento climatico. Insomma un forum interdisciplinare, con un tentativo di inserimento delle scienze sociali, per attuare la tanto decantata gestione integrata dell’acqua.