care socie cari soci di Aree Fragili APSvi scrivo per rammentarvi due cose assai pratiche: l’Assemblea dell’associazione del 4 luglio prossimo venturo in remoto e in presenza (via Cesarotti 10/12 Padova) ore 18.00, al termine del seminario sulla politica per gli invasi. Siamo ancora a caccia di candidature per il direttivo. La seconda è il rinnovo della quota associativa (2022) passo assai semplice e modesto, ma indispensabile per sopravvivere in assenza di aiuti di stato: istruzioni qui https://www.areefragili.it/l-associazione/.
Vengo poi ad una questione di prospettiva, divenuta per me una paranoia, accentuata ora dalla crisi idrica in Italia (ma nel mondo va anche peggio). Ho allegato la cartina di oggi de La Stampa che per noi avezzi alle mappe delle aree interne ci lascia quasi di stucco. C’è un capovolgimento di prospettiva notevole. Quasi tutto il nord è area critica mentre alcune zone del sud note per soffrire di gravi carenze d’acqua addirittura classificate come eccessivamente umide!Forse nella cartina c’è qualcosa da spiegare (non sono riuscito a trovarla in rete); si capisce anche che il dato è relativo ad una situazione media e non ad una carenza assoluta. Indagheremo. Quale che sia la robustezza e interpretazione della cartina avverto una sottile inquitudine: è forse il caso che la comunità di pratiche aree fragili, oltre alla sua tradizionale attenzione alle questioni sociali, guardi con più attenzione agli adattamenti alla transizione ambientale nelle aree interne? E’ possibile che alcune di queste ne traggano vantaggio, altre rimangano indifferenti e per altre ancora vi siano nuove criticità. Se dovessi guardare alla cartina allegata, direi che emergono situazioni nuove: il cuneo basso padano, l’alto Adriatico, il Monferrato e alcune zone delle Alpi occidentali (!). L’associazione non ha i mezzi per indagini scientifiche su larga scala, può far conto sulle intuizioni dei propri aderenti. Proviamoci. Giorgio Osti, presidente di Aree Fragili APS
Andando indietro negli anni, abbiamo toccato il tema in diverse occasioni: nel 2012, sulla giustizia ambientale, quando abbiamo affrontato i casi della competizione nell’utilizzo dell’acqua attorno alla diga del Brugneto e del conflitto tra Delta del Po e Milano per la qualità delle acque; nel 2013, sulla corsa alla terra, abbiamo messo in luce le tensioni tra acqua, energia, agricoltura nell’occupazione di suolo; il 2014 su sicurezza e cooperazione idrica, con molte relazioni sul governo della scarsità. Insomma, abbiamo un bello storico per occuparcene. Una prospettiva interessante mi sembra quella di mettere in luce le tensioni tra le transizioni in contesti fragili diversi. Transizioni con accezioni diverse: energetica ed ecologica, non è detto che siano facilmente integrabili tra di loro, anche se nel dibattito pubblico sono usate come sinonimi. La transizione energetica, vedi idroelettrico, può entrare in conflitto con quella ecologica, vedi adattamento dei sistemi locali alla carenza idrica. Ma anche transizioni come modelli di policy sottostanti: esistono politiche dominanti di transizione, ma esistono varianti regionali e locali da mettere in luce. E poi transizioni come trasformazioni ambientali “indipendenti” dai comportamenti e dalle politiche, che incidono in modo diverso in territori diversi (la mappa de La Stampa appunto) e dove però il modo di affrontarli su scala locale può fare la differenza.
Ci sono situazioni nuove, ma il Delta del Po resta sempre il Delta del Po, con il cuneo salino ormai a 30 chilometri! E tutta l’asta del Po sembra messa male…
Giovanni ricorda che abbiamo uno storico sull’acqua e le sue fragilità correlate. Ma si può pensare che esistano davvero delle varianti locali delle politiche idro-territoriali ? O prevale invece una uniformità dovuta al percorso di sviluppo standard delle società occidentali: tutte hanno sistemi idrici integrati, tutte hanno bonificato immensi territori, tutte sono gestite da agenzie o utility. Cambiano lievemente i profili giuridici ma il punto vero sta nel dato socio-tecnico. Siamo di fronte a reti idriche che creano una particolare mediazione fra le fonti e i consumatori. Il nodo anche per la siccità è guardare alle reti. Come aree fragili possiamo occuparcene